Boxing dea

Roberto Beccantini26 dicembre 2018

Dal «Boxing dea» è uscita un’ordalia molto inglese, come inglese è l’Atalanta, ed è stata la Juventus, imbattuta in trasferta nell’anno solare, un pareggio dopo otto vittorie, terzo 2-2 a Bergamo in tre stagioni.

Paradossalmente, la squadra di un isterico Allegri ha cercato più il successo in dieci che non prima, quando il regalone di Djimsiti le aveva spianato la strada e la parata-di-Berisha-più traversa, su lecca di Bentancur, dischiuso scenari golosi. Bentancur, già. Il doppio giallo è stato una sciocchezza e, visto che siamo in tema, una delle rare scelte azzeccate dal pessimo Banti: pessimo, perché pensa che a non fischiare (su Pasalic, persino) ci guadagni lo spettacolo.

C’erano assenti illustri da una parte e dall’altra, ma la rosa di Madama è una rosa dalla quale il suo allenatore (e persino il garzone della macelleria all’angolo, avrebbe scritto il grande Giuseppe Pistilli) ha potuto estrarre Pjanic e Cristiano. Cristiano che poi ha pareggiato, di testa, su angolo calibrato dal bosniaco. A proposito: Bentancur-Emre Can-Khedira (al rientro), febbri e rotazioni avevano consegnato il centrocampo a una indicibile carenza di geometrie.

L’Atalanta è una ciurma di pirati, con Zapata in condizioni strepitose. Si era già mangiato Bonucci a Udine: sapeva, dunque, come usare coltello e forchetta. E, sul secondo gol, ha ribadito di essere cresciuto anche sul piano dell’opportunismo.

La partita è stata selvaggia, con le squadre che si sono annusate e graffiate dall’inizio alla fine. A Gasp piacciono il pressing sfuso e le marcature ad personam, in barba ai puristi del salotto acconto. E’ così che si è costruito un nome, uno stile.

Della Juventus, che aveva ricavato arrosto dalla sinistra (Alex Sandro-Douglas Costa) e fumo da Mandzukic, rimane il mistero Dybala: tuttocampista sembra un sinonimo, ma di cosa?

Mandzukic d’inverno

Roberto Beccantini22 dicembre 2018

Sarebbe stato un delitto sprecare un primo tempo così. Tre paratone di Olsen su Alex Sandro e Cristiano; nove calci d’angolo in una ventina di minuti; pressing a ondate, senza se e senza ma, roba da Manchester City. Ma un gol, uno solo: la capocciata di Mandzukic, su cross di De Sciglio, con Santon letteralmente schiacciato.

Era una Roma ferita e decimata, una Roma raccolta attorno alla «garra» di Zaniolo e al piccolo mondo antico che Manolas teneva su a spallate. Non sembrava neppure una squadra di Allegri, avranno brontolato gli «anti». Fatto sta che se giochi a quel modo, e raccogli la miseria di un golletto, rischi di esporti ai capricci del destino e all’istinto di sopravvivenza degli avversari.

Così è stato, puntualmente. Alla ripresa, Madama non poteva non calare (sono uomini, non robot), la Roma non poteva non osare. Di Francesco ha sguinzagliato Kluivert, Perotti e Dzeko, si è impossessata del possesso palla ma non dell’area, e Madama, pur abbassando il baricentro, è andata vicino al raddoppio con il marziano, murato da Olsen (che con il Genoa aprì il mar Rosso e allo Stadium l’ha chiuso) più di quanto la Roma al pareggio.

Nelle trattorie e fra i bar si discuterà dell’ennesima metamorfosi della Tiranna. Rimane, da non trascurare, il senza voto a Szczesny, di cui non si ricorda che un tuffo, agli sgoccioli, per i fotografi, povere anime intirizzite.

Mandzukic è ormai il totem attorno al quale balla tutta la tribù e Dybala un distributore seriale di traiettorie. L’asse portante rimane la coppia Chiellini-Bonucci, i docenti di Harvard (Mourinho dixit).

Ai collezionisti di episodi giro un Nzonzi molto vicino al secondo giallo e due gol annullati. Alla Juventus. Per carica di Chiellini al portiere, il primo; per pestone pregresso a Zaniolo, il secondo (di Douglas Costa, su assist del Cristiano «tuttocampista»). Non sono gradite avantologie. Buon Natale.

Fuori il gioco o fuori

Roberto Beccantini17 dicembre 2018

L’Atletico del Cholo, l’avversario più rognoso, la squadra che la scorsa stagione venne «retrocessa» da Roma e Chelsea ma poi si aggiudicò Europa League e Supercoppa, lo stadio che ospiterà la finale, il derby di Cristiano.

Allegri lo aveva già assaggiato alla sua prima Champions: perse a Madrid (0-1), pareggiò allo Stadium (0-0). Fatturato a parte, l’Atletico è una sorta di Juventus spagnola, a Simeone – come ad Allegri – non gusta il circo. Prende pochi gol, ha un portiere eccellente (Oblak), poi guerrieri come Godin e Diego Costa, spadaccini come Saul, e la lama di Griezmann, pallone di «bronzo».

Con il Liverpool, il cliente più scorbutico che si potesse pescare. Lo stesso ragionamento, rovesciato, vale per loro. La Juventus è stata finalista nel 2015 e nel 2017, l’Atletico nel 2014 e 2016. Mandzukic è un ex abbastanza freddo, ma tutto – anche troppo, temo – ruoterà attorno a Cristiano.

Serve la Juventus di Old Trafford,, il vantaggio che ha l’Atletico riguarda le responsabilità meglio distribuite tra Simeone e la rosa. Alla Juventus, no: se vincerà, merito di Cristiano; se perderà, colpa di Allegri. Madama tiranneggia la serie A, i materassai sono terzi nella Liga. Si giocherà a metà febbraio: piano, dunque, con le capriole.

Se alla Juventus non poteva capitare di peggio, alla Roma seconda sì: il Porto l’ha già eliminata ma se si pensa a Barcellona e Manchester City, bé, non dico di brindare a champagne ma neppure ad acqua minerale.

Ed ecco, per concludere, il mio borsino. Champions, ottavi: Atletico 50% Juventus 50%; Schalke 40% Manchester City 60%; Manchester United 45% Paris Saint-Germain 55%; Tottenham 50% Borussia Dortmund 50%; Lione 30% Barcellona 70%; Ajax 45% Real Madrid 55%; Roma 45% Porto 55%; Liverpool 55% Bayern 45%.